IL PROBLEMA DELLA RELAZIONE MADRE-FIGLIA NELL’ANORESSIA MENTALE.

Negli ultimi anni il fenomeno dei disturbi alimentari, come l’anoressia, è in continua crescita. Da una recente stima, pare che in Italia l’1% delle ragazze tra i 12 e i 25 soffra di questa malattia. Le cause sono culturali, ma soprattutto familiari. L’anoressia e la bulimia, sono definite “malattie del benessere”, disturbi riscontrabili maggiormente nei paesi ricchi, infatti nei paesi poveri come l’Etiopia ad esempio, non si riscontrano casi. Questi disturbi sono figli di una società che esalta la magrezza in modo ossessivo, la eleva a ruolo di status symbol, a simbolo del successo, infatti, in qualunque rivista, pubblicità, ricorre spesso l’immagine di una modella magra, bella che è ammirata da tutti. Quest’immagine è associata a valori positivi come l’affermazione, l’essere famosa per la sua bellezza, il successo appunto. Tuttavia, non è certo l’emulazione il vero problema, l’anoressia ha radici molto più profonde. A. Gordon muove l’ipotesi che questo rapido e recente dilagare di tali malattie sia da ricondursi al radicale mutamento delle aspettative sociali verso le donne. Oggi giorno queste ultime sono spinte ossessivamente al successo, ad un’autostima ipertrofica; devono incarnare il modello della “superdonna”, creando un grosso conflitto con l’educazione ricevuta da genitori legati a vecchi modelli che consiste nell’essere accondiscendente, moglie fedele e passiva. La giovane malata esprimerebbe quindi una crisi culturale in modo inconsapevole riguardo al tema dell’identità femminile, inserito in un contesto culturale in cui il ruolo della donna è limitato ancora da un potere maschile. Liberandosi dall’ingombro del corpo, la donna ricerca la tanto anelata autonomia. Oltre a queste importanti cause socio-culturali comunque, a mio avviso, la ricerca dell’autonomia nasce in famiglia ed è uno degli aspetti principali della patologia. Una cosa che accomuna le ragazze che soffrono di anoressia o bulimia, è l’enorme senso di vuoto che hanno dentro, il senso di impotenza nel determinare il proprio destino, il sentirsi dipendenti, il bisogno disperato di avere conferme positive, di essere accettate da tutti, di trovare qualsiasi modo per placare quel devastante senso di inadeguatezza che le opprime. Tutto questo disagio nasce dal contesto familiare, dove coesiste anche un’enorme difficoltà di comunicazione tra i membri. Le giovani malate hanno difficoltà a chiedere aiuto e si chiudono nel loro mondo personale, quello che H. Bruch definisce una “gabbia dorata”. Sono prigioniere di se stesse, chiuse una solitudine impenetrabile che le attanaglia indissolubilmente. Forse, a questo punto, il loro unico grido d’aiuto è l’autodistruzione; la loro marcata emaciazione testimonia la disattenzione di una società, di una famiglia indifferente, che non si cura di loro. Diventare invisibili per essere finalmente viste. Le radici di questo vissuto di profondo dolore sono spesso da ricercarsi nel rapporto con la madre. Il legame madre-figlia costituisce il nucleo della patologia. Queste madri s’identificano fortemente con le loro figlie, come compensazione di una relazione deludente con il marito. Sono donne che hanno sacrificato la loro vita, le loro ambizioni per la famiglia e che di conseguenza hanno sviluppato vissuti depressivi e attaccamenti morbosi per le loro figlie. Spesso assistiamo ad un ribaltamento di ruolo, è la figlia che deve occuparsi dei bisogni incessanti della madre, la quale pretende sempre di più, ha bisogno di essere contenuta e pretende la perfezione dalla figlia. Paradossalmente la ragazza anoressica risponde con la costruzione di un corpo “ideale” per se, stando ad indicare il volersi ritagliare uno spazio suo, distinto da quello della madre, sebbene la sua distanza fisica ed emotiva sia ancora da elaborare per queste ragazze. Il nucleo del problema però sta proprio in quest’indifferenziazione dalla madre, una regressione allo stato fusione-confusione con l’altro che la ragazza cerca in tutti i modi di spezzare, per costruirsi un’identità sua. Il messaggio è il seguente: ”lasciami andare devo staccarmi da te!!”, anche se la separazione è molto dolorosa, e lo diventa ancora di più tanto più le ragazze sono impigliate tra le maglie di una forte dipendenza di chi non riesce ad accompagnarle in questo cammino. Si tratta di un circolo vizioso che la ragazza cerca in tutti i modi di spezzare e l‘anoressia sembra l’unica strada per riuscirci. La magrezza sembra l’unico aspetto di sé da esibire, come dimostrazione di poter rinunciare a tutto e a tutti, in mezzo a persone dipendenti da mille bisogni. La Bruch afferma che la disturbata relazione con la madre influisce sulla percezione del sé, e delle sensazioni proprie della ragazza, in quanto, fin da bambina le venivano imposte le sensazioni e i bisogni della madre, visto che quest’ultima non riusciva a vedere la bimba come “altro”da sé. Il risultato è quindi un disconoscimento dei confini dell’io, un'incapacità a riconoscere ciò di cui si ha bisogno e difficoltà a crearsi una propria identità ed autonomia. Il controllo ossessivo del peso, del corpo, può dare l’illusione alla mente di controllare la realtà: il corpo è l’unica sfera possibile da controllare, visto che non riescono a controllare tutti gli altri aspetti della loro vita, caratterizzati dalla presenza di una madre dominante. Almeno in questo ambito possono decidere loro, essere finalmente autonome, anche a costo della vita. Alcune ragazze si sentono “reali” solo sentendo le loro ossa premere contro la propria pelle, sentono che solo così la loro esistenza ha senso. La loro eccentrica magrezza dà un senso alle loro vite, è una forma provocazione, per tutta la vita sono esistite per gli altri, hanno assecondato i loro bisogni soprattutto quelli della madre, ma ora decidono loro come vogliono essere. La dicotomia corpo-anima trova in questa malattia la sua apoteosi, liberarsi del peso incontenibile del corpo per liberare l’anima, sublimarla a mete più alte. Sopravvivere su un piano prettamente psichico abbandonando quello fisico. La drammaticità di questa malattia è proprio in questo distacco dalla realtà, in questa violenza rivolta verso se stessi che resiste a vari tipi di cure; è così evidente in questa patologia come la psiche e il corpo non siano più una funzione unica, ma come una lavori a scapito dell’altra.

Una cosa è certa: il miglioramento e la guarigione passano attraverso una modificazione dei legami affettivi; ciò significa che dobbiamo riuscire a ristabilire i ruoli far comunicare il dolore della figlia alla madre. Queste donne sono di solito egosintoniche, ed è molto difficile portarle al fulcro del problema. Il cambiamento che porta alla guarigione deve avvenire attraverso la modificazione del proprio mondo psicologico da parte di ciascun membro della famiglia con conseguente ristrutturazione dei legami familiari. Diventa necessario “accompagnare” questi ultimi, specialmente la madre, all’insight, a trovare quell’empatia con la figlia che non c’è mai stata e di cui la ragazza ha assolutamente bisogno.

La paziente anoressica, attraverso l'espressione dei sintomi: vuole proprio ridiscutere e modificare le relazioni intrafamiliari; questo è l'obiettivo finale da perseguire ed è disposta a mettere in gioco la sua vita. Quindi l'analisi delle relazioni familiari e l'aiuto psicologico rivolto anche ai genitori e alla madre in particolare, rappresentano la parte principale dell'intervento psicologico di queste forme di disagio. I genitori soprattutto devono essere aiutati dallo psicoterapeuta della famiglia a riappropriarsi del proprio ruolo in termini di protezione e d’affetto e non ad essere dipendenti dalla figlia. Attualmente è molto forte la tendenza ad allontanare le ragazze e ragazzi anoressici dalla propria famiglia, attraverso l'utilizzo di comunità terapeutiche, ma è consigliabile che questa soluzione resti l'ultimo approccio da tentare, ossia, ricorrere ad esso solo quando è proprio necessario. Dobbiamo insistere sulla comunicazione tra i membri della famiglia, lavorare sui “vuoti”, il primo creato dalla madre e l’altro dal padre, con le sue assenze, e colmarli. La ragazza dovrà capire che la madre non è che non la stimi, è solo che “non la vede”, perché è centrata troppo sulle sue frustrazioni, angosce, alle quali reagisce con un ossessivo controllo sugli altri e con la tendenza a dominare. Su questo tipo di problematica per fortuna possiamo intervenire, in modo da ricostruire tutta la dinamica familiare ristabilendo cosi il giusto omeostasi.

Dott.ssa Silvia Brigiotti

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